Trascrizione dell’omelia di S.Em.za il Card. Matteo Maria Zuppi tenuta durante la S. Messa di apertura della XV Assemblea Generale degli Scout d’Europa – Soriano nel Cimino (VT), 2 settembre 2021

“Chi sono io?”. È questo l’interessante e stimolante tema della vostra Assemblea Generale. Ma il “chi sono” si può scoprire solo nell’incontro vero con l’altro. Mi scopro e mi conosco, quando scopro e conosco l’altro. Chiaramente non parliamo di incontri virtuali, misurati sul numero dei follower, ma di quelli reali, tra persona e persona. Solo in un incontro vero si diventa qualcuno e si esce dall’anonimato. Questo è ciò a cui voi capi siete chiamati: ad aiutare gli altri ad incontrare e ad incontrarsi. E questo lo possiamo fare solo se continuiamo, noi per primi, ad incontrare il Signore Gesù nella nostra vita. Se perdiamo per strada l’incontro con il Signore Gesù, allora non sapremo più comunicarlo come un tu personale, ma diventerà un ente diffuso e confuso. Non sarà più un amore che ci cerca, che ci tocca il cuore e che ci aiuta a guardare il mondo, ma sarà una legge anonima, incapace di rispondere alle domande nostre e dei ragazzi e di prenderle sul serio. È l’incontro con Gesù che ci permette di compiere in noi e in tanti quella rivoluzione copernicana davvero liberante, ma difficilissima, che è il passaggio dal “chi sono io?” al “per chi sono io?”. Perché, da un lato, il “chi sono io?” diventa egolatria se non è accompagnato dal “per chi sono io?” e, d’altra parte, senza il “per chi sono io?” non capiremo mai il “chi sono io?”. Quanto ci si può perdere nel cercare “chi sono” collezionando interpretazioni sempre nuove, nell’illusione di poter essere chiunque! A mio parere, in fondo in fondo, la vera mentalità del gender è la presunzione di poter decidere e scegliere chi essere, nell’illusione di poter essere e diventare qualunque cosa si pensi o si voglia. Solo ricercando il “per chi sono io” si vince questa egolatria e si ritrova il vero senso del proprio io. Noi dobbiamo far appassionare alla domanda: “per chi sono io?”. È questo il compito che ci è stato affidato. Credo che la gioia di stare insieme in questi giorni nasca dal fatto che abbiamo trovato il “per chi” essere e agire. Anzitutto siamo qui “per quello Sposo” che ci ha cercato, che ci ha fatto gustare la gioia di essere suoi, di sentirci amati da lui, di avere trovato il senso della nostra vita, ma siamo qui anche “per quei tanti ragazzi” i cui nomi portate e custodite nel vostro cuore, quei tanti di cui, forse, ancora non conosciamo il nome, ma che il Signore ci invita a cercare. Troviamo noi stessi solo nell’incontro con l’altro. Dice Papa Francesco nella “Fratelli tutti” che l’uomo non è frutto del caso, ma gode di una libertà che trascende la sua natura stessa. Anche Papa Benedetto ha sempre insistito sul fatto che è la libertà che dimostra che l’esistenza dell’uomo ha un senso, perché lo rende capace di orientare la sua vita verso un fine e di tendere verso quella felicità alla quale è chiamato per l’eternità. La libertà permette all’uomo di trovare la risposta al “chi sono io”, al “per chi sono io”. È la libertà di amare. Insomma, l’incontro con l’altro diventa un legame che mi salva e che dona senso alla mia vita. Noi siamo figli di un mondo pigro interiormente, che scappa dai legami, e che fa credere che la vera libertà sia quella del figliolo più piccolo della parabola del “Figliol prodigo” [Lc 11,15-32] che visse da dissoluto, cioè senza legami, sciolto da chiunque, legato solo a se stesso e, alla fine, prigioniero di se stesso, di tutti e anche del mondo, che ne fa quello che vuole. Quanto è importante, allora, costruire dei legami veri e far sì che tanti possano trovare in noi la libertà di costruire tali legami, segnati dall’amore, perché il Signore stesso, per primo, ci ha legato a sé con il suo amore. Quanto è importante costruire dei legami che liberino dalla prigionia di se stessi e da quel selfie che, in fondo, resta tante volte l’unico vero legame di quei tanti che non hanno trovato qualcuno che gli spieghi per chi vale la pena vivere. Quanto è importante far vivere e far vedere dei legami che siano più belli del fascino adolescenziale e presuntuoso di prendere e di possedere tutto; di credere di essere se stessi, perché slegati da tutto. Senza legami siamo persi. Solo il Signore Gesù è davvero la nostra pace, perché ha buttato giù i muri e ci ha insegnato a legarci gli uni agli altri. Un essere umano, ricorda Papa Francesco, è fatto in modo tale che si possa realizzare e trovare la propria pienezza solo attraverso un dono sincero di sé e che non possa giungere a riconoscere a fondo la propria verità, se non nell’incontro con gli altri. Non comunico effettivamente con me stesso, se non nella misura in cui comunico con l’altro. Questo spiega perché nessuno possa sperimentare il valore della vita, della propria vita, del proprio io, senza volti concreti da amare. Credo che voi passiate la vita a cercare di spiegare ai ragazzi che i compagni non sono dei “contatti”, ma delle persone a cui legarsi, a cui voler bene, da conoscere, da ascoltare, da stimare. Far vivere il passaggio dal “contatto” all’incontro credo che occupi una buona parte del vostro sforzo di insegnare che cosa significhi volersi bene e – ed è questa la grande intelligenza, che è quella del Signore in realtà – come si possa trovare il proprio io solo quando si impara a donarsi e si trova qualcuno per cui perdere la vita. L’ultima cosa che vorrei dire riguarda Papa san Gregorio Magno (540-604) che, a Roma, in momento difficilissimo per la città e per la Chiesa, oltre a dedicarsi al servizio dei più poveri – nella chiesa di San Gregorio al Celio di Roma potete ancora trovare il triclinium pauperum, una grande lastra di marmo dove lui, Papa, serviva i poveri e dove vide la presenza di Gesù, il volto di Gesù in uno di quei poveri – decise di rinnovare la Chiesa mandando i propri monaci ad evangelizzare l’Inghilterra, sfidando ogni limite e avversità: questo è il vero modo in cui si può essere sempre nuovi, lasciandosi guidare dallo Spirito, anche se circondati da fatiche e avversità. È questa l’ultima cosa che volevo dire. Qualche volta ci sentiamo vecchi, ma ciò che è nuovo è ciò che è pieno dello Spirito del Signore. Il nuovo non coincide con l’idea un po’ consumistica del cambiare tutto o del correre dietro a quello che è più facile: il nuovo è ciò che è pieno dello Spirito. Questo chiediamo davvero al Signore: di essere, noi stessi per primi, consapevoli di essere già rivestiti del vestito nuovo che il Signore ci ha donato; un vestito nuovo, vedendo il quale tanti possano trovare la vera risposta alla domanda dell’io, del “chi sono io?”. L’io vero è uno che si pensa per l’altro, come il Signore Gesù che, per primo, si è pesato per noi, ci ha liberati dalla prigionia dell’egocentrismo e ci ha fatto trovare il nostro compimento, insegnandoci a pensarci per gli altri. Ma il nostro otre diventa vecchio quando non è pieno dello Spirito, quando non ci lasciamo rinnovare dal Suo amore, quando non sappiamo guardare in maniera nuova le cose di sempre. Questo è quello che chiediamo questa sera anche per voi: che sappiate davvero essere sempre degli otri nuovi, rivestiti di quella veste nuova, bella e attraente, che possa comunicare a tanti il motivo per cui vivere, cioè incontrare Colui che è amore e che ha dato la vita per noi.